Gli albori di nuove scoperte … i telescopi (parte 3)

I telescopi in giro per il mondo…

«Ma questa tua passione di cui abbiamo parlato sinora, ne hai anche fatto un lavoro?»

La mia attività di visualizzazione stellare era tutta di “volontariato”; sì, qualche rara volta era rimborsata, però meno male che costruivo i telescopi.»

«Dai fantastico, quanti ne hai costruiti?»

«Parecchi, in Italia tanti. Il più grande è stato quando abbiamo fatto le ottiche da 1.4 metri del telescopio Ruths di Merate, osservatorio fondato verso la fine del 19° secolo; all’epoca era un posto formidabile per le osservazioni… adesso un pochino meno per l’inquinamento luminoso, ora fanno i lavori di ricerca alle Canarie e in Cile. Questo è stato solo un lavoro di rinnovo, perché avevo sostituito solo le ottiche che erano davvero malandate.
Il primo telescopio che ho costruito è stato il 60 cm. del Generoso nel ’96, poi un 80 cm. in Val d’Aosta a Saint Barthélemy,
e altri più piccoli tra cui un 40 cm, poi un altro 41 cm. per il Monte Lema, ed un’altro in Algeria presso l’Osservatorio di Algeri; tra le altre cose questo osservatorio ha collaborato nella ricostruzione della Carte du Ciel, mappatura effettuata tra il 1891 e il 1911. Poi c’è stato un telescopio in Portogallo. Altri telescopi completi li ho costruiti in provincia di Salerno, un 85 cm di diametro ad Aresta di Petina e un 40 cm sul Toppo di Castelgrande e tre da 40 cm. per utenti privati. E molti altri ancora. L’ultimo fu il telescopio del Campo dei Fiori a Varese.»

«Ma tu ti ricordi ancora il primo lavoro?»

«Certo, il primissimo lavoro che ho preso è stato a Campo Imperatore nei primi anni ’90. Avevamo vinto un concorso per la costruzione di telescopi per rilevare l’effetto Čherenkov atmosferico, il cui compito se vuoi, è di rilevare la direzione di arrivo di particelle e fotoni ‘𝛄’ primari nell’atmosfera terrestre. Questi strumenti usano i fotoni ‘blu’, cioè dei lampi a luce blu che durano nano secondi e derivano dall’impatto di particelle cosmiche come protoni, elettroni o particelle ‘𝛂’, ossia nuclei di elio formati da due neutroni e due protoni, e da radiazione ‘𝛄’. Queste particelle hanno origine da stelle che esplodono o da galassie attive, cioè fenomeni energeticamente intensi. Quando impattano nella nostra atmosfera, interagiscono con atomi e molecole sul loro percorso e danno origine ad uno sciame di particelle secondarie.
Comunque oramai eravamo li e dovevamo lavorare; siamo andati e abbiamo montato il primo telescopio che in prossimità dello zenit prendeva perfettamente ma, man mano che si scendeva verso l’orizzonte, diminuiva la precisione di puntamento sino a non rispettare i parametri richiesti … per cui non andava bene. Dopo aver lavorato insieme a Sergio Cortesi in modo massacrante 42 h su 48, lui aveva detto: “ma perché non chiamiamo il Michele Bianda che ha appena finito di scrivere la tesi su un telescopio automatizzato?”
Noi fino a quel momento non avevamo mai fatto un telescopio automatizzato, così lo chiamammo spiegandogli la situazione; e lui semplicemente domandò se era stata considerata la rifrazione atmosferica.
Ma cribbio nessuno di noi ci aveva pensato!
La rifrazione atmosferica è quel fenomeno che ti fa vedere, per esempio, il sole ancora sopra l’orizzonte, quando ormai è già sceso; analogamente nel nostro caso, la rifrazione quindi deviava il percorso della luce in dipendenza dalla distanza zenitale della direzione di puntamento. In altre parole allo zenit non c
era, ma man mano che si scendeva verso l’orizzonte si accentuava; ne parlai allora con Piero Vallania, responsabile del software di gestione del telescopio INFN, e lui pensò di inserire nel software di controllo un ulteriore algoritmo correttivo. Ma una correzione semplice di questo tipo non andava bene perché la rifrazione atmosferica si manifesta in maniera completamente differente a seconda di dove sei; per cui noi eravamo a 2000 metri, e per risolvere la cosa bisognava fare una griglia di puntamenti, verificando dove puntava effettivamente il telescopio e l’entità dell’errore. Questa procedura lai fai sempre, perché ogni problema che ha il telescopio lo devi mettere a punto, in maniera che eventuali problemi tipo flessioni meccaniche e disortogonalità degli assi, possano essere sistemati.»


Argentina, Francesco Fumagalli,
Argentina. Credit: Francesco Fumagalli

«Ma i tuoi telescopi che fine hanno fatto?»

«I miei telescopi sono finiti in Argentina e funzionano ancora oggi, ricalibrati ma con l’elettronica del ’93; non lavorano più come rivelatori di luce Čherenkov, ma come lidar, ossia controllando la densità e la composizione atmosferica. È un radar ottico che usa un fascio laser al posto delle microonde dei radar convenzionali per scandagliare la qualità dell’atmosfera.»