Gli albori di nuove scoperte … (parte 2)

Le ricerche, l’evoluzione degli studi e le nuove scoperte

«Ma ti affascinano ancora queste ricerche?»

«Certo che si!!! Questo tipo di ricerca è bella per questo, perché è vero; tante cose sono conosciute, ben catalogate… ma altre, si possono scoprire ancora, basta che tu ti metta ad osservare il cielo, soprattutto con i mezzi che abbiamo a disposizione oggi si può lavorare molto bene, senza perdere troppe notti di sonno.
Ad esempio, si potrebbe prendere un semplice astroinseguitore con un obbiettivo fotografico ed una CCD, e già con questa strumentazione si farebbero delle belle osservazioni e scoperte, senza usare grandi strumenti ed ingenti capitali.»

«Come si è evoluto il tuo studio delle stelle?»

«Da un primitivo sistema visuale con i telescopi, sono passato a quello fotografico.
Ma prima di parlarti della tecnica fotografica che utilizzavo posso dirti che usavamo anche un fotometro fotoelettrico, perché Sergio Cortesi ne aveva costruito uno formidabile, dopo molti studi e su mia istigazione… questo strumento non era molto sensibile ma in compenso molto preciso.
Il
mezzo fotografico era stato usato in maniera estremamente intensiva già nei primi decenni del secolo scorso per lo studio delle stelle variabili… non parliamo poi negli anni 50’ e 60’, quando c’era il Professor Cuno Hoffmeister della Germania Est, che aveva fondato l’Osservatorio di Sonneberg, dove aveva fotografato e scoperto migliaia di Stelle Variabili.
Con le fotografie anche il gesuita Padre Walter Miller ed il Professor Arno Wachmann dell’Osservatorio di Amburgo, lavorando alla Specola Vaticana, avevano scoperto centinaia di stelle variabili e compilato il catalogo “Atlas Stellarium Variabilium”. Ma questi signori erano prima di tutto dei professionisti, e nei loro Osservatori possedevano dei densitometri ad iride davvero formidabili, che costavano moltissimo, e riprendevano delle lastre 30 x 30 cm con telescopi di grandi dimensioni.
Ma sto divagando… tornando alle mie ricerche, io ero un fotografo e volevo avere un sistema efficace sulle pellicole 24 x 36 millimetri, non per lastre 30 x 30 cm.»

«E tutto questo… per ottenere?»

«Tutto per ottenere immagini stellari perfette; per cui mi ero costruito una tavoletta di legno su una montatura fotografica con 2 obbiettivi 180 mm. F 2,8 accoppiati a due corpi macchina Exakta, pazzesche anche queste, avevano dentro una taglierina, che ti permettevano di tagliare il negativo, quando ne avevi bisogno e sviluppare lo spezzone. In questo modo, evitavi di consumare tutta la pellicola. Pensa che gli obbiettivi li potevi svitare ed usare come lenti di ingrandimento nel pozzetto di visione. Queste macchine avevano le modalità di esposizione dei tempi B e T. Se utilizzavi il tempo B, schiacciavi il pulsante e sino quando lo tenevi premuto impressionavi la pellicola e quando lo rilasciavi avevi “fatto” la foto; per il tempo T invece schiacciavi il pulsante ed aprivi quindi l’obbiettivo, cronometravi ad esempio 5 min di posa, dopodiché rischiacciavi, chiudevi e la foto era fatta. In questo modo facevo fotografie formidabili, anche se era abbastanza alienante fatto di stare li a seguire una stellina. Ma l’effetto era fantastico!!! »

Tavoletta di legno su montatura fotografica con 2 obbiettivi 180 mm.
Tavoletta di legno su montatura fotografica con 2 obbiettivi 180 mm. F 2,8 accoppiati a due corpi macchina Exakta. Credit: Francesco Fumagalli

«Ma che marca erano i rullini?»

«Kodak, rullini normali, compravi le pizze da 50 metri e ti facevi tu i rullini.
Di solito si usavano delle pellicole spettroscopiche, che erano sensibili al blu; per il giallo usavo quelle normali, ma le maggiori soddisfazioni le davano quelle che usavo per il rosso, con la Technical PAN 2415 che però dovevi ipersensibilizzare. Mediante l’ipersensibilizzazione, la resa aumentava tantissimo e la sensibilità della pellicola al rosso era molto più estesa; anteponendo quindi un filtro che tagliava a monte dell’arancione isolavi solo il rosso.
Ma io purtroppo non avevo i densitometri, quindi era davvero difficoltosa la cosa… perché questi strumenti col diaframma a iride ti isolano la stellina nera dal cielo bianco, perché lavoravo sui negativi. Per cui o si aveva un densitometro ben fatto, perché le dimensioni delle stelle sono quasi zero, altrimenti finiva che qualche spiraglio di luce dal cielo bianco filtrava e ti sfalsava tutte le misure.»

«Ma allora scusa, se tu non avevi densitometro, come hai risolto la cosa?»

«Molto semplicemente sviluppando il rullino non in negativo, ma in positivo: quindi avendo il cielo nero, situazione reale, con le stelle bianche, si è risolto tutto…»

«No aspetta, non ho capito… ma con un filtro che ti invertiva tutto?»

«No, no. Qualche anno prima avevo fatto degli esperimenti usando questo sistema di sviluppo dal negativo come positivo colorandolo di blu, ma dovevi fare in due tempi lo sviluppo, per cui… prima facevi uno sviluppo, poi lo toglievi dal bagno e gli facevi prendere la luce qualche minuto da una parte e dall’altra su una spirale, poi lo rimettevi nello sviluppo altri 10 min dopodiché lavavi, fissavi e lasciavi ad asciugare la pellicola.
Ottenuto questo risultato avevo pubblicato un articolo su ‘L’ Astronomie’, una rivista francese; fu un lavoro enorme, avevo seguito una variabile ben conosciuta, usando cinque stelle di riferimento ossia di confronto, per fare una regressione lineare mediante una statistica precisa. Tutto questo, per avere una precisione elevata sulla magnitudine della stella e siamo riusciti ad arrivare al centesimo di magnitudine con delle pellicole normali e un costo davvero contenuto.
Quindi organizzai una sezione fotografica di studio del G.E.O.S. e subito mi seguirono in 3 o 4 variabilisti. Facevamo i campi di osservazione in Sardegna per 15 giorni e portavamo a casa un malloppone enorme di materiale, che poi per il resto dell’anno studiavamo e catalogavamo. Devi pensare che ogni fotogramma era circa mezz’ora di lavoro di riduzione… nelle notti lunghe invernali facevo due rullini fotografici nel giallo e due nel rosso… 144 fotogrammi.

Campo Chateau Renard con Francesco Fumagalli
Campo Chateau Renard Credit: Francesco Fumagalli

Con questo sistema avevo avuto un certo successo persino in Russia, ero infatti andato a San Pietroburgo per una conferenza perché loro usavano ancora molto le lastre. Poi presero piede le CCD che erano più performanti e resero la fotometria fotografica digitale il sistema più diffuso per la misurazione della luminosità delle stelle.
Dopodiché passai anch’io al CCD, dove con la ruota porta filtri fai le diverse misurazioni, nel giallo nel blu nel rosso. Io ho fatto in gioventù più o meno 50.000 misure visuali e con la macchina fotografica più o meno 20.000. Pensa che lavorando a Carona ho scoperto con la CCD diverse stelle variabili.»

Credit: si ringrazia Francesco Fumagalli per la foto di apertura.