Alcune considerazioni sull’utilizzo dei satelliti artificiali ed il loro destino al termine della vita operativa
Di satelliti in orbita ce ne sono molti. A mio personale parere alcuni utili, altri meno. Ed un numero elevato sarebbe meglio che proprio non ci fossero.
È ovviamente opinabile il mio criterio personale di utilità di uno strumento, piuttosto che la sua dannosità. Un satellite meteorologico penso che tutti ci troveremmo d’accordo nel definirlo “utile”, poichè in alcuni casi può contribuire a salvare vite umane, per esempio monitorando il percorso degli uragani. Anche un satellite per telecomunicazioni od uno appartenente alla famiglia GPS, lo definirei utile, ma con qualche riserva. Ed un satelliite GPS utilizzato per dirigere un missile da crociera oppure uno delle varie tipologie di munizionamento moderno sul bersaglio? Usato in questo modo sarebbe meglio non fosse mai esistito, come ho detto prima.
Ma oltre a questi criteri di valutazione assolutamente personali, che comunque fanno parte delle nostre individuali valutazioni relative all’utilizzo dei satelliti artificiali, c’è un altro aspetto più oggettivo da considerare nel bilancio costi-benefici: quello relativo al termine della loro vita operativa.
Nella nostra vita quotidiana di solito, che cosa facciamo quando un dispositivo non funziona più? Nell’attuale epoca dello spreco, o se volete chiamatelo pure epoca del riciclo, fate voi… comunque, il nostro aggeggio che non funziona più lo buttiamo e ne prendiamo un altro.
Ma con un satellite… beh, le cose sono un pochino più complicate. Non vendono satelliti al supermercato sotto casa: per avene uno piazzato in orbita e funzionante dobbiamo risolvere un pò di noiose e complesse questioni di ingegneria spaziale, dedicargli anni di studi e lavoro ed ovviamente, investire una quantità enorme di denaro.
Dimenticavo: un satellite non sta sopra le nostre teste, sospeso con un filo invisibile come la “stella cometa” degli alberi o dei presepi appartenenti alla tradizione occidentale del Natale. No, sta lì seguendo le regole della gravitazione newtoniana, sufficiente in questo caso senza dover scomodare l’Idra a due teste della relatività einsteniana. Ma non immobile come un sasso, bensì in continuo movimento rotatorio intorno al nostro pianeta, su un percorso ben definito. Segue un orbita, ossia una curva geometrica chiusa di tipo circolare od ellittico, percorrendola con caratteristiche del vettore velocità necessarie a non farlo cascare giù.
E proprio l’orbita su cui dobbiamo piazzarlo è il cuore del problema: le orbite non sono infinite, perchè si sviluppano nello spazio che circonda la Terra, ed i satelliti cominciano ad essere tanti, forse troppi. Ed al termine della loro vita operativa, come dicevo prima, o vengono “de-orbitati” o restano lì, come pericolosa “spazzatura spaziale”. Perchè pericolosi? Mica sono armi… beh, alcuni invece lo sono: gli “hunter killer” militari, che tutti ovviamente negano di avere, sono ideati appositamente allo scopo di danneggiare o distruggere altri satelliti, con armi laser o proiettili lanciati ad elevata velocità. Ma questa è un’altra storia… Invece, la pericolosità di un satellite ormai in disuso sta nella possibilità non remota che ha di scontrarsi con un altro, causando danni e generando nuvole di minuscoli frammenti, al limite anche microscopici, aventi velocità elevate e conseguentemente elevate energie cinetiche; questi frammenti a loro volta potranno urtare altri satelliti danneggiandoli e creando nuovi frammenti. Un processo che a lungo andare può complicare enormemente l’accesso e l’utilizzo dello spazio attorno al nostro pianeta.
Per esempio, è di poche settimane fa la notizia del secondo test, nuovamente fallito, del veicolo costruito dalla società privata SpaceX, terminato con la distruzione comandata dal suolo del razzo: anche questo ha contribuito ad aumentare la quantità di detriti spaziali, pericolosi per gli altri satelliti.
Il secondo lancio di Pirro.
Ci sono molti modi di descrivere un fallimento.
Il titolo di questo inserto parafrasa l’espressione “vittoria di Pirro”, per il recente e nuovamente fallito test di “Starship”: se un razzo disintegrato in una miriade di frammenti è un successo, cosa sarà mai una catastrofe in casa SpaceX? Credo che anche il monarca Pirro scuoterebbe la testa…
Potrei fare un altro parallelo, utilizzando la volpe della favola di Esopo: non riuscendo a raggiungere l’uva, rinunciò dicendo che comunque era acerba. Dopo il secondo fallimento i tecnici di SpaceX mi hanno ricordato quella volpe, quando hanno affermato che due test di lancio dagli esiti disastrosi rappresentano comunque un grande successo, utili per capire il comportamento del sistema. In questo caso sarebbe la volpe a scuotere la testa, mentre Esopo sorriderebbe pensando che anche dopo 25 secoli gli uomini si comportano sempre nelle stesso modo.
Naturalmente, tutto questo fa parte delle logiche gestionali e d’immagine, che caratterizzano una mera attività commerciale, dove anche un fallimento va descritto trionfalisticamente.
Mi chiedo quale siano lo scopo ed il senso di tutto ciò. I dati tecnici di questa macchina sono effettivamente impressionanti: io apprezzo le “macchine” in genere, e per certi versi effettivamente anche questa mi affascina.
Oltre 120 metri di altezza, peso al decollo 5000 tonnellate, tutto il sistema in teoria completamente riutilizzabile. Sui media ho visto frasi del tipo “Questa è una vera astronave!!!”
No. Sbagliato. Anche questa non è una astronave.
Le vere astronavi per la specie umana nel XXI secolo sono ancora lontane e se le troviamo, è solo nei films e nei racconti di fantascienza. Anche in questo caso abbiamo a che fare con il solito “tubone” carico di carburanti e comburenti pericolosi ed esplosivi, solo un pochino più “grosso” dei vettori spaziali che lo hanno preceduto e che hanno avuto a loro volta problemi di svilupo ed utilizzo. Anche lo Space Shuttle, neppure lui, era una astronave ma visivamente ed emotivamente almeno ne evocava la sensazione, con le sue ali a delta, la manovra di rotazione in volo dopo il decollo ed il maestoso atterraggio finale.
Purtroppo sappiamo tutti che anche dello Shuttle ne sono andati distrutti due esemplari che hanno causato la perdita degli equipaggi: come sempre, per errori umani nella gestione opportunistica di un sistema complesso, errori che hanno spinto la macchina oltre i suoi limiti progettuali.
Tutta la recente, inutile ed ovviamente prezzolata fanfara mediatica, riguarda solo e soltanto l’ennesimo esemplare di razzo a combustibile chimico, caratterizzato da folkloristiche dimensioni “XXXL”, la cui declamata utilità starebbe nelle elevate capacità di carico, mediante cui si potrebbero portare sulla Luna molti materiali e persone per costruire una base permanente. O per andare più lontani ancora, su Marte ad esempio, ma senza un biglietto di ritorno.
Le missioni Artemis III della NASA fanno affidamento su questo “Starship” per tornare sul nostro satellite: tra qualche anno vedremo come procederà questa strategia basata sulla creazione di missioni spaziali “ibride”, che accoppiano interessi pubblici e privati per la gestione delle attività spaziali.
Non si può correre veloci con gambe troppo corte. Sulla Luna oggigiorno ci riescono ad andare tutti o quasi, come ha dimostrato un recente fallimento russo; ma partire per Marte solamente tramite un poderoso “calcione” propulsivo iniziale, viaggiando poi per mesi su un’orbita di trasferimento privi di propulsione, lo trovo insensato quando a fare il viaggio sono esseri umani e non sonde automatizzate.
La navigazione sul nostro mondo è sempre stata basata sulla capacità di movimento durante tutto il corso del viaggio utilizzando le fonti di energia quali i muscoli umani, venti, comustibili chimici o l’energia nucleare. Non c’è stata navigazione sino a quando si usavano tronchi di legno e non ci si spostava così sulle sconfinate distese marine; il viaggio sull’Oceano Pacifico del Kon-Tiki non ha dimostrato nulla, se non solo il fatto di poterlo effettuare con l’ausilio costante di ben altra ed avanzata tecnologia.
Analogamente, non ci sarà vera navigazione spaziale sino a quando un veicolo non disporrà di un apparato propulsivo dal funzionamento continuo, in grado di modificarne la traiettoria orbitale a piacimento, riducendone inoltre la durata. I virtuosismi tecnici utilizzati dai tecnici spaziali per modificare le traiettorie di molte sonde che hanno esplorato i pianeti del Sistema Solare, sono solo “escamotages” astrodinamici, necessari per la mancanza di sistemi propulsivi avanzati, che ci farebbero raggiungere la Luna in qualche ora, come per un volo di linea intercontinetale commerciale odierno, e Marte in alcune decine di giorni.
Queste allora saranno veramente astronavi, degne di essere definite con questo nome. Se i loro propulsori useranno l’energia nucleare oppure quella del Sole, od invece si muoveranno tramite l’impalpabile soffio dei fotoni emessi dalla nostra stella su vele solari di dimensioni smisurate, lo si vedrà alla prova del tempo. O magari useranno altre tecnologie, oggi non ancora alla nostra portata.
Ma con tronchi di legno e zatteroni non si va molto lontano: questo vale sul mare ed ancora di più nello spazio. E se “l’erba voglio” non cresce nel giardino del re, men che meno lo fa in quello di SpaceX.
In un recente ed interessante articolo viene descritto senza troppi giri di parole il problema dell’utilizzo scriteriato dello spazio attorno al nostro pianeta.
Oggi in orbita ce ne sono circa 8000 funzionanti. Varie società private hanno presentato richieste per la messa in orbita di oltre un milione di nuovi satelliti. Ovviamente, visto che i satelliti non vanno in orbita sulle ali degli angeli o con la slitta di Babbo Natale trainata dalle renne, ci vorrebbero decine o centinaia di migliaia di lanci per portarli lassù.
Alla faccia della coscienza ambientale! Qual’è “l’impronta ecologica” di un razzo quando porta in orbita il suo carico? Quanti alberi dovremmo piantare a compensazione degli attuali 5000 già lanciati da SpaceX? Quando ci facciamo spedire un pacco ci chiedono di pagare una compensazione per l’inquinamento che causiamo con il trasporto: a chi spara su questa roba che diventerà rapidamente “spazzatura orbitale” la fanno pagare?
In realtà magari, questo milione di satelliti non pensano davvero di lanciarli, molti operatori spaziali dichiarano queste intenzioni per attirare investimenti: come dicono gli anglosassoni “businnes, as usual”.
Quindi forse sono solo chiacchere, o per meglio dire spudorate menzogne, di tecnici ed amministratori delegati delle aziende spaziali private in cerca di denaro. Speriamo sia così, perchè altrimenti alle continuamente declamate crisi ambientali, avremmo anche quella di una pioggia di spazzatura spaziale che ci casca addosso. E sarebbe “spazzatura” molto, molto pericolosa, che ci costringerebbe a spendere altro denaro per evitare danni a persone e cose.
Inoltre, utilizzando vari Paesi e governi nazionali assolutamente improponibili come veri attori spaziali, le società private cercano di aquisire, o meglio fare incetta di posizioni orbitali che poi cedono e rivendono; come già ricordato sopra, per questa gente si tratta solo di affari.
Nel frattempo, le agenzie internazionali, come ad esempio la ITULa International Telecomunication Union (Unione Internazionale delle Telecomunicazioni) è un’agenzia delle Nazioni Unite dedicata ai temi tecnici della comunicazione digitale e assegnazione delle frequenze di trasmissione radio., che dovrebbero regolamentare tutto questa complessa materia, dichiarano candidamente di badare alla sostenibilità ambientale, ma che il loro interesse principale è la gestione delle delle attività di telecomunicazione. Bravi, complimenti!
In definitiva, potrei riassumere tutto questo con un antico detto popolare, ossia “più pulcini ci sono e più sporcano”… Sino a quando la mentalità di sfruttamento irresponsabile, specialmente da parte di attori privati, delle spazio visto come mera risorsa non cambierà, questi problemi non verranno risolti.
Comunque, un’altra soluzione potrebbe esserci, anche se un pò drastica: un brillamento solare di elevata energia, un “evento Carrington” come vengono indicati nell’ambito delle scienze spaziali, spegnerebbe tutti i satelliti. Forse non quelli militari, ma tutti gli altri si.
E questo sarebbe la fine dei giochi e dell’attuale “businnes” delle trasmissioni satellitari. Torneremmo indietro di almeno un secolo, per quanto riguarda le telecomunicazioni ed anche, probabilmente, per tutta la tecnologia elettronica. E quali sarebbero le conseguenze di una situazione simile, in un mondo già pericolosamente instabile?