L’incompiuto racconto della gravità (parte 2)

La gravità di Einstein

“…Pluraritas non est ponenda sine necessitate…”

Da “Commentaria oxoniensia ad IV libros magistri Sententiarusdi John Duns Scotus, XIII secolo d.C.

Luci ed ombre della gravitazione newtoniana

Alle soglie del XX secolo la gravitazione newtoniana e le tre leggi della dinamica avevano ottenuto una serie di straodinari successi in ambito astronomico; nel corso del XVIII e XIX secolo mediante questa teoria vennero conseguiti una lunghissima serie di successi scientifici: previsioni sull’esistenza di pianeti mai osservati in cielo mediante osservazione diretta, previsioni sulle periodicità di alcune comete, descrizione del moto orbitale della Luna e delle forze mareali, determinazione dei periodi orbitali di lontanissimi sistemi stellari doppi.

Tantissimi altri fenomeni vennero giustificati da questa teoria, ma nella seconda metà nel secolo XIX comparve anche una “piccola” incongruenza. E ciò accade spesso in ambito scientifico: i piccoli tasselli che non trovano posto nel mosaico generale di un quadro teorico, indicano che “la fuori” c’è qualche fenomeno ancora sconosciuto che non riusciamo a comprendere.

Per la gravitazione universale di Newton all’apice di innumerevoli successi, l’inciampo venne da un fenomeno molto vicino a noi e vicinissimo al Sole, che riguardava l’orbita del pianeta Mercurio.

Vulcano

No, anche se apprezzo la fantascienza letteraria e cinematografica, non voglio parlare del pianeta d’origine del Signor Spook, l’imperturbabile primo ufficiale dell’astronave Enterprise, nell’universo fantastico della serie televisiva “Star Trek”.

Parleremo invece brevemente di un “fantasma” astronomico immaginato a partire dal 1600 e poi “costruito” con la teoria a metà del XIX secolo: un pianeta più vicino al Sole di Mercurio che ne avrebbe perturbato l’orbita, causando alcune lievi anomalie al suo moto intorno alla nostra stella.


Mappa con Vulcano del 1846
Mappa del Sistema solare contenente l’indicazione del pianeta Vulcano, pubblicata nel 1846. Credit: Hall Colby, Rochester N.Y, Lith. of E. Jones & G.W. Newman (1846), disponibile presso Library of Congress, US

L’immagine precedente rappresenta il concetto del nostro Sistema Solare per l’astronomia di quasi due secoli fa, ovvero nell’anno 1846. Essendo una rappresentazione di origine statunitense, la scala delle distanze e delle dimensioni planetarie è in miglia1 miglio equivale a 1.609 chilometri., poichè all’epoca il sistema metrico decimale MKSQuesta sigla contiene le iniziali dei termini che rappresentano le unità di misura scientifiche fondamentali per dimensione, massa e tempo: M (metro), K (chilogrammo), S (secondo). Ancora oggi nel mondo anglosassone, in ambito tecnico e più raramente anche scientifico, è invalso l’uso di unità di misura aventi origine in arcaiche tradizioni culturali, come il piede o la libbra, svincolate da fenomeni fisici ben riproducibili ed utilizzabili come riferimento standard. o CGSAnalogamente alla sigla precedente abbiamo per lunghezza, massa, tempo: C (centimetro), G (grammo), S (secondo). non era ancora diventato lo standard scientifico internazionale. La carta, anche se irrimediabilmente datata per il contenuto scientifico, è disegnata a mio avviso con una delicata attenzione artistica ai dettagli: ci mostra il pianeta Vulcano, orbitante attorno al Sole ad una ipotetica distanza di poco inferiore a 26 milioni di km.

Oltre alla presenza di Vulcano, nella mappa troviamo alcune “inesattezze” ed una “mancanza”, entrambe legate alle conoscenze dell’epoca: l’inesattezza a mio avviso più vistosa è la rappresentazione della coda cometariaLa coda in figura è infatti tangente alla sua orbita e non diretta lungo la congiungente Sole – cometa nella direzione opposta alla nostra stella sotto la spinta del vento solare, che all’epoca non era ancora stato scoperto; la coda della cometa è stata infatti disegnata come il fumo scaricato da una locomotiva in corsa…, mentre la mancanza è quella del pianeta Nettuno, scoperto proprio nel 1846 da Johann Galle, a Berlino, mediante i calcoli teorici di Urbain Le Verrier basati sulla gravitazione newtoniana.

A partire dal XVII secolo, vari osservatori avevano riportato osservazioni non confermate di corpi celesti a distanze dal Sole inferiori a quella del pianeta più interno del Sistema Solare, e Le Verrier, a partire dal 1848, iniziò uno studio sistematico mediante la meccanica newtoniana per caratterizzare completamente l’orbita di Mercurio. Dopo molto lavoro, nel 1859 ottenne come risultato un’orbita teorica che mostrava una discrepanza, nel confronto con i dati osservativi, per il passaggio al perielio del pianeta di 43″ (arcosecondiL’arcosecondo o secondo d’arco, è la 3600esima parte di un grado d’angolo, ovvero la 60esima parte di un minuto o primo d’angolo.) per secolo.

Possiamo considerare proprio il 1859 come “data di nascita” ufficiale di Vulcano, apparentemente osservato da un astronomoEdmond Modeste Lescarbault, medico di professione con la passione per l’astronomia. non professionista nel dicembre di quell’anno; utilizzando questa presunta osservazione di un passaggio del pianeta sul disco solare, Le Verrier pubblicò nel 1860 la scoperta, calcolando altresì i parametri di questo oggetto: Vulcano sarebbe stato caratterizzato da un’orbita quasi circolare, inclinata di 12° e 10′ rispetto all’ecclittica ed avente raggio pari a di 21 milioni di chilometri; il periodo di rivoluzione attorno al Sole sarebbe stato di 19 giorni e 17 ore.

Anche se il pianeta Nettuno fu scoperto, come ricordato sopra, proprio mediante il lavoro teorico di Le Verrier, l’ipotesi di Vucano non ebbe molte conferme osservative, che furono spesso anche ferocemente contestate nella comunità degli astronomi. Quindi dopo una serie di ricerche e polemiche, gli inizi del XX secolo coincidono con la “morte” del pianeta, ovvero la negazione della sua esistenza. Anche ulteriori ipotesi sull’esistenza di asteroidi con orbite aventi orbite solari interne a quella di Mercurio non sono mai state confermate.

Per finire questo breve racconto sul’esistenza di Vulcano, una curiosità: il nome del pianeta gli è stato comunque riservato dall’Unione Astronomica Internazionale e non attribuito ad altri corpi celesti.

La nascita della relatività

Nel secondo decennio del XX Einstein sviluppa le due teorie della relatività: curiosamente, per quanto egli sia stato insignito del premio Nobel nel 1921, tale riconoscimento non gli venne attribuito per quella che oggi viene considerata la teoria fondamentale della gravitazione, ma per un’altra sua ricerca di successo, ovvero quella sull’effetto fotoelettricoViene defiinito con questo termine iil fenomeno per cui una superficie metallica, illuminata da onde elettromagnetiche con una determinata freequenza, rilascia elettroni, assumendo al contempo una carica elettrica positiva; questa ricerca di Einstein fu comunque contestata da noti fisici dell’epoca, che ritenevano inaccettabile la realtà del fotone e l’implicita natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica.; anche nella scienza, come in altri ambiti della cultura e socialità umane, accadono diatribe, anche molto animate e talvolta portate avanti con modi poco cortesi e neppure signorili…

Le due teorie della relatività permisero di spiegare una serie di fenomeni, che nei primi decenni del secolo scorso sfidavano i tentativi di spiegazione dei fisici: l’inesistenza dell’etere fisico come mezzo neecessario alla propagazione delle onde elettromagnetiche e, come ricordato nel paragrafo precedente, il problema dell’anomalia per il perielio del pianeta MercurioLa relatività generale non richiede la presenza di un corpo che perturbi l’orbita di Mercurio, poichè prevede possa essere causato dal campo gravitazionale solare. L’entità di questo spostamento è di circa 0.1 arcosecondi per ogni rivoluzione del pianeta attorno al Sole, e nel corso di 100 anni terrestri ammonta a 43 arcosecondi..


Precessione perielio
La precessione del perielio di un pianeta causata dal campo gravitazionale di una stella in un’animazione grafica; la stella ed il pianeta non sono rappresentati in scala. Credit: Wikipedia

Osservate ad un secolo di distanza dalla loro creazione, brillano sicuramente per i successi ottenuti in vari ambiti, di cui parleremo brevemente più avanti, ma secondo me anche perchè sono basate su alcune idee, tutto sommato semplici:


I postulati della relatività speciale e generale
PostulatiDescrizione alternativa
La velocità della luce è costante indipendentemente dal sistema di riferimentoUn raggio luminoso, emesso da una sorgente in movimento, ha sempre la stessa velocità, indipendentemente dal moto della sorgente stessa
Equivalenza dei sistemi di riferimento nella descrizione dei fenomeni fisiciNella relatività speciale I sistemi di riferimento immobili, piuttosto che in moto a velocità costante sono equivalenti per descrivere un fenomeno fisico.
Nella relatività generale anche i sistemi di riferimento sottoposti ad una accelerazione hanno questa proprietà di equivalenza per descrivere i fenomeni fisici
La gravitazione è descritta come deformazione geometrica dello spazio-tempo, in grado di influenzare il motoLa gravitazione non è una forza che agisce meccanicamente ma una deformazione dello spazio-tempo che definisce la traiettoria degli oggetti in movimento.
Lo spazio-tmpo può essere descritto come una superficie curva in quattro dimensioni, e solo in assenza di massa od energia, come una superficie piana

Anche se Einstein stesso non era partito da particolari fenomeni fisici per creare le due teorie ma si era lasciato condurre dal suo istinto “creativo” teorico, le due versioni della relatività ottenero rapidamente conferme dalle verifiche sperimentali, ossia quelle dei fenomeni sopra riportati, ed inoltre la corretta previsione della deviazione della luce stellare durante il passaggio ravvicinato con una massa elevata, come quella solare. Questo fenomeno fu osservato dall’astrofisico Eddington durante l’eclisse solare del 1919, utilizzando le posizioni delle stelle vicine al disco solare eclissato dalla Luna; Eddington, che apprezzava e comprendeva la nuova teoria della gravitazione, fu probabilmente uno dei suoi più insigni sostenitori e con lungimiranza si prodigò per renderla nota nell’ambiente della ricerca astronomica.


Eclisse 1919
Immagine dell’eclisse solare del 1919, utilizzata da A. Eddington per verificare la previsione della deviazione da parte del Sole per la luce stellare. Credit: Philosophical Transactions of the Royal Society of London.

Poi, per quasi mezzo secolo, la teoria della relatività generale non venne applicata per fornire spiegazioni ai dati sperimentali raccolti dagli astronomi. Anche se Einstein e, a dir la verità, pochi cosmologi crearono alcuni modelli teorici dell’Universo, la teoria era matematicamente complessa da utilizzare e la sua applicazione precorreva di decenni le possibilità dell’astronomia osservativa; quando questi modelli di Universo vennero pubblicati, la natura delle galassie non era ancora ben definita. Anche la loro caratteristica dinamica fondamentale, ovvero il mutuo l’allontanamento, sarebbe stata rilevata da Hubble un decennio dopo: questo fenomeno venne quindi giustificato con l’allontanamento su scala universale e non locale, delle galassie. Secondo i modelli oggi accettati nella cosmologia, questo fenomeno ha la sua origine nell’espansione dello spazio-tempo, causato dal “Big Bang” primordiale.

Comunque, i primi modelli relativistici sulla natura dell’Universo, non per forza ne prevedevano l’espansione: Einstein, basandosi sulle conoscenze astronomiche dell’epoca e l’apparente assenza di moti a grande scala, creò un modello con la sua teoria per un universo statico: per farlo, introdusse un termine repulsivo che si opponeva all’attrazione gravitazionale, la costante cosmologica 𝚲 (lettera greca maiuscola “lambda”). Alla luce della successiva scoperta dell’espansione dell’universo, egli stesso definì questa costante e l’idea di un universo statico che era alla sua origine, come “il mio più grave errore”. Quindi, con la scoperta dell’espansione universale, 𝚲 venne dapprima discretamente dimenticata… per poi essere ripescata dal magico cilindro dei cosmologi in epoca recente, allo scopo di giustificare l’apparente accelerazione positiva del nostro Universo, attribuita ad esotici fenomeni energetici di origine quantistica dello spazio, quali energia del vuoto ed “energia oscura” .

Questi problemi sono attualmente il campo di indagine più avanzato della cosmologia ed avranno una risposta in futuro, richiedendo magari, ancora una volta, la modifica delle teorie fisiche tramite cui interpretiamo la realtà di cui facciamo continiamente esperienza.

Applicazioni e previsioni della relatività

Ma oggi, la relatività generale nel pieno della sua maturità, ha permesso e permette di descrivere innumerevoli fenomeni, e di sviluppare applicazioni tecnologiche che utilizziamo nella vita di tutti i giorni. Vediamone alcuni.

Il GPS: la relatività quotidiana

Onnipresente ormai nella nostra vita, questa tecnologia di posizionamento satellitare non funzionerebbe con la precisione richiesta se non venissero considerqte entrambe le teorie relativistiche nei suoi algoritmi di calcolo.

In poche parole, secondo la relatività ristretta, il rapido moto orbitale dei satelliti causa un rallentamento del loro orologio rispetto a quello del ricevitore al suolo. Per la relatività generale invece il campo gravitazionale terrestre altera il periodo degli orologi e la propagazione dei segnali radio. Infine i segnali dei satelliti sono caratterizzati da velocità relative non simmetriche, a causa dell’effetto Sagnac.

Questi effetti, se non considerati e corretti, porterebbero i ricevitori GPS a rilevare una posizione con errori di entità dell’ordine anche di svariati chilometri, rendendoli di fatto inutilizzabili.

Buchi neri

ImmaginatiJohn Michell e Pierre Simon de Laplace in modo indipendente costruirono ii primi modelli fisici di un buco nero, basandosi sulla gravità newtoniana e con l’ipotesi che anche la luce, pur con la sua elevata velocità, non avesse sufficiente energia per sfuggire alla gravità. Michell suppose inoltre, seguendo l’idea di Newton sulla natura corpuscolare della luce, che le particelle che la formavano non potessero sfuggire in modo analogo a particelle formate da materia. ancora prima di essere descritti mediante la relatività e finalmente visti dagli strumenti del Event Horizon Telescope nel 2022, questi oggetti oscuri attirano ed eventualmente “ingoiano” la materia che si trova nei loro dintorni mediante il loro immenso campo gravitazionale. Secondo la teoria e le osservazioni ne esistono di varie dimensioni e masse: dai buchi neri con masse comparabili a quelle delle stelle da cui possono avere origine per il collasso gravitazionale dei nuclei stellariQuesto processo ha luogo durante le espolosioni di supernova di tipo II., sino a quelli aventi milioni o miliardi di masse solari situati al centro delle galassie, che regolano con la loro enorme gravità strutture molto più grandi, ovvero le galassie stesse che li contengono e gli ammassi galattici.

Per quanto la loro influenza sull’ambiente che li circonda, ovvero l’esterno dell’orizzonte degli eventiSi definisce in tal modo quella che durante la formazione del buco nero corrisponde all’ultima superficie da cui è stata emessa energia o materia, ovvero l’ultimo segnale contenente informazioni sulle condizioni fisiche dell’oggetto., sia descritto dalla relatività generale, neppure questa teoria è in grado di descrivere ciò che succede al loro interno, poiché la sua formulazione è basata su una impostazione classico e non soddisfa le regole della meccanica quantistica; ricerche recenti propongono una soluzione a questi problemi: bisognerà aspettare ancora, quindi per arrivare a capire completamente questi oggetti.

Lenti gravitazionali

Come il Sole può deviare la direzione dei raggi luminosi di una stella situata prospetticamente vicina al suo disco, comportandosi come una lente, anche altri tipologie di oggetti più grandi e con masse maggiori, come galassie o gli ammassi che le contengono, possono deviare la luce ed in casi particolari arrivare a focalizzarla in modi la cui complessità dipende dalla distribuzione di massa di questi oggetti.

Mediante la relatività, dalle osservazioni di questi fenomeni ottici si può ricavare la distribuzione di massa di queste “lenti”, e questo permette di indagare la struttura a grande scala del nostro Universo e di rilevare oggetti molto deboli, la cui luminosità è incrementata dall’effetto della lente gravitazionale.

Questa tecnica è stata utilizata in passato nel corso dell’esperimento MACHO, ideato allo scopo di valutare la natura e distribuzione della materia oscuraQuesto tipo di materia è stata ipotizzata da molti anni per giustificare la discrepanza rilevata nelle velocità di rotazione dellee stelle attorno al centro delle galassie che le contengono. Viene definita oscura perchè non emette radiazione elettromagnetica che permetta di rilevarla.. L’idea base di questo esperimento era di osservare milioni di stelle nelle Nubi di Magellano, verificando eventuali variazioni luminose imputabili ad effetti lente gravitazionali, causate da un oggetto non luminoso durante il suo passaggio davanti alla stella, lungo la nostra linea di vista. Attualmente l’attendibilità delle ipotesi alla base di MACHO è stata messa comunque in discussione da osservazioni più recenti.

Onde gravitazionali

Predette dalla relatività generale, sono state infine rilevate per la prima volta nel settembre 2015, dalla collaborazione dei sistemi VIRGO e LIGO: le onde gravitazionali rilevate, dopo lo studio delle loro caratteristiche, sono state attribuite alla collisione e fusione di due buchi neri.

Nel prossimo futuro, si prevede di migliorare la capacità di rivelare tali onde mediante la missione spaziale LISA.

La relatività nella cultura moderna

Questa teoria per la sua complessità e l’apparentemente inesauribile capacità di descrivere innumerevoli situazioni fisiche, talvolta apparentemente contradittorie ed incomprensibili, si presta alle narrazioni della fantascienza. E questo è a mio avviso un aspetto utile da un punto di vista culturale, perchè entro cornici narrative di fantasia permette a tutti noi di vedere questa teoria “al lavoro”, senza le complessità che vengono affrontate da chi si occupa professionalmente di questi argomenti.

Il film Interstellar presenta una splendida carellata dei fenomeni predetti dalla relatività, alcuni dei quali sono molto lontani dalle nostre esperienze di vita sulla Terra; fornisce inoltre un’immagine della difficoltà con cui la nostra vita biologica potrebbe essere mantenuta in un ambiente spaziale che non è tanto ostile, quanto piuttosto incomprensibile ed indifferente al fenomeno vitale biologico. L’episodio del film che apprezzo maggiormente è quello in cui tre membri della spedizione si recano sul “pianeta di Miller”, che orbita molto vicino al buco nero Gargantua.



Il pianeta di Miller è un mondo interamente coperto dall’acqua e su cui il tempo, a causa della vicinanza al buco nero che deforma lo spazio-tempo, “scorre” più lentamente; la sua superficie liquida è inoltre periodicamente spazzata da immense onde anomale, causate dalle enormi forze mareali dovute alla vicinanza del buco nero. A causa di queste condizioni fisiche estreme, la breve ricognizione si rivelerà un insuccesso e costerà la vita ad uno degli astronauti. Al ritorno dei superstiti sulla nave madre nel normale spazio-tempo, non alterato dalla gravità del buco nero, a causa della dilatazione temporale saranno passati, a fronte della breve permanenza sul pianeta, non poche ore bensì 23 anni.

L’attendibilità scientifica del film è abbastanza buona, e ci permette di scoprire le previsioni della nostra scienza attuale all’interno di una narrazione umana drammatica che, anche se di pura fantasia, dovrebbe forse farci riflettere sul significato della vita biologica, a cui spesso non prestiamo la dovuta attenzione, dandola per scontata e necessaria.

Come in “Interstellar” la relatività è largamente utilizzata in un libro di fantascienza del 1984, “Attraverso un mare di soli“. È la seconda parte di una storia scritta con rigore scientifico e tecnologico (l’autore è un astrofisico e ricercatore universitario statunitense), che non racconterò per intero… sarebbe troppo lungo! Per restare in tema di relatività qui voglio solo presentare uno dei concetti descritto nel romanzo di un telescopio basato proprio sulla deviazione della luce delle stelle da parte di un campo gravitazionale intenso. Abbiamo visto prima come il Sole sia in grado di deviare la direzione della luce per stelle situate prospetticamente vicino al suo disco: nel libro viene descritto un telescopio gravitazionale che utilizza proprio il nostro Sole come lente gravitazionale, per riprendere immagini di pianeti extrasolari a distanze di vari anni luce, evidenziando dettagli delle loro superfici con una risoluzione di qualche chilometro.


Lente gravitazionale
Immagine artistica dell’utilizzo dl Sole come lente gravitazionale. Credit: The Aerospace Corporation, NASA JPL

Inutile dire che oggigiorno una tecnologia simile non è ovviamente disponibile, sopratutto perchè con gli attuali razzi a propellente chimico, per arrivare ad una distanza di 3 giorni luce dal Sole ci impiegheremmo ben oltre un secolo, quasi 150 anniLa luce ha una velocità di circa 300000 km/s, quindi la distanza di 3 giorni luce equivale a 7.77 1010 chilometri, ovvero 7.77 seguito da 10 zeri. La sonda New Orizon, che ha fotografato Plutone durante un velocissimo sorvolo, si sta allontanando su un’orbita iperbolica dal Sistema Solare alla velocità relativa, rispetto alla nostra stella, di 17 km/s: a questa velocità, la distanza di 3 giorni luce sarà raggiunta da questa sonda dopo circa 145 anni dal lancio.; ma il concetto descritto è identico a quello utilizzato nella ricerca degli oggetti MACHO che abbiamo visto prima, ed è stato studiato dal JPL e dalla società The Aerospace Corporation statunitensi. Forse tra svariate decine di anni o più probabilmente un secolo da oggi, uno strumento simile esisterà davvero: se e quando vere “navi spaziali” solcheranno il Sistema Solare, si potrà pensare di farlo funzionare. Operando a questa distanza dal Sole, ci permetterà di vedere le superfici dei pianeti extrasolari (di cui oggi conosciamo l’esistenza solo per via indiretta) con una risoluzione analoga a quella con cui vediamo i crateri lunari dalla Terra attraverso un telescopio amatoriale; oppure, di studiare oggetti ancora più lontani, come il disco di accrescimento del buco nero nella galassia M87 od il suo getto relativistico, ad una distanza di circa 55 milioni di anni luce, con dettagli aventi dimensioni di circa 400 unità astronomicheIndicativamente questa è anche la dimensione dell’orizzonte degli eventi del buco nero in M87., irragiungibile per qualsiasi telescopio immaginabile.

Per adesso, nel nostro presente è solo un sogno, basato comunque su solide basi teoriche… ma la scienza ha la capacità di far diventare reali i sogni, anche se purtroppo talvolta si rivelano essere poi incubi spaventosi.

La gravità del futuro

Per quanto la relatività generale spieghi una miriade di fenomeni, la sua concezione non quantistica la pone di fronte oggi a problemi di difficile soluzione. E comunque, quando viene calcolata l’orbita per un satellite artificiale, la “vecchia” gravitazione newtoniana è ancora utilizzabile e fornisce una buona approssimazione, ricavata in modo più semplice.

Come “regola” empirica si può dire che la relatività generale funziona “quasi sempre” bene quando le accelerazioni da considerare sono elevate, come nel tipico fenomeno dei buchi neri, mentre la gravitazione newtoniana funziona “bene” se le accelerazioni in gioco sono medie o piccole.

E se le accelerazioni gravitazionali sono molto, molto piccole? Qualcuno nel mondo della fisica pensa da anni, che entrambe le teorie di Einstein e Newton non “funzionino” correttamente in queste condizioni, e questo ha portato allo svilupo di teorie alternative per spiegare i moti delle stelle doppie molto lontane tra loro ed anche l’eventuale inesistenza della materia oscura.

Nel prossimo ed ultimo articolo parleremo quindi ancora un pò delle problematiche aperte della gravità, questa “entità” fisica che da quattro secoli elusivamente sfugge ancora ad una completa comprensione.