100 anni in compagnia delle Pleiadi

Il richiamo delle stelle

Scrivendo un articolo sulla costellazione della Lira per questo sito, ho approfondito alcuni aspetti sulla mitologia riguardanti 𝛂 Lyrae, ossia la stella Vega. Seguendo la bibliografia di una voce di Wikipedia su questo astro, ho trovato la scansione di un vecchio libro di astronomia, risalente agli inizi del secolo scorso. Il libro in questione, pubblicato nel 1919, è “The call of the stars; a popular introduction to a knowledge of the starry skies with their romance and legend“, di John Robert Kippax. Il libro era nelle intenzioni dell’autore, medico di professione che aveva evidentemente una passione per l’astronomia, un’opera divulgativa rivolta ad un pubblico generico ma interessato comunque a tali argomenti.

Sarebbe interessante esaminare la struttura del libro per capire quali erano erano all’epoca gli argomenti e le ricerche astronomiche “di punta”, ossia la struttura del Sole e gli oggetti del Sistema Solare, abbastanza differenti da quelli odierni. All’epoca infatti non si era ancora capito come il Sole producesse la sua energia, poichè la meccanica quantistica e la fisica nucleare erano ancora agli albori: fissione e fusione nucleare erano infatti ancora al di la da venire… E la natura delle deboli “nebulose” visibili nei più grandi telescopi dell’epoca era ancora argomento di discussione: oggetti interni od esterni alla Via Lattea? E per quanto riguarda i modelli sulla struttura dell’universo… beh, quell proprio ancora non esistevano. Nonostante la Relatività Generale fosse stata pubblicata nel 1916, era nota all’epoca solamente al suo autore e ad una manciata di fisici e matematici; i primi modelli relativistici sulla struttura dell’Universo saranno pubblicati a partire dal 1917 e nel corso del successivo decennio da Einstein, De Sitter, Friedmann, Lemaitre ed infine Eddington, che collegò gli aspetti teorici dei modelli con i dati osservativi sperimentali di Hubble e Humason sui moti delle galassie.

Ma in questo articolo voglio invece utilizzare una delle foto contenute nel libro, avente le Pleiadi come soggetto, per valutare l’evoluzione tecnologica dei mezzi di registrazione delle immagini astronomiche nel corso di un secolo, confrontando i risultati ottenuti oltre 100 anni fa con strumentazione professionale dai ricercatori, con quelli che chiunque oggi può conseguire utilizzando una normale attrezzatura fotografica. Forse questo confronto potrà sembrare quantomeno bizzarro, ma vedremo come possa produrre comunque interessanti risultati.

Le foto: le Pleiadi immortalate nel 1896 e nel 2022



Lo stesso soggetto, l’ammasso aperto Messier 45, e le “Sette Sorelle”, le Pleiadi. 126 anni separano queste due riprese, ed i mezzi utilizzati e le tecniche sono completamente differerenti. Inoltre, la ripresa del 1896 qui rappresentata, essendo la scansione di una riproduzione su carta e non quella della lastra, contiene numerosi artefatti geometrici e non ha le stesse nitidezza e bellezza dell’originale.

Pleiadi – 2022

Innanzi tutto: nella mia immagine le Pleiadi non sono nel centro. Perchè? Per necessità tecniche legate alla struttura del sito web, ho effettuato un “ritaglio” decentrato dell’originale, che ha dimensioni molto superiori rispetto a questa versione ridotta, allo scopo di evidenziare un problema che gli osservatori nel 1896 non avevano: le traccie lasciate da aerei e satelliti artificiali. Nell’angolo in basso a sinistra è visibile infatti una breve traccia lasciata da uno degli innumerevoli satelliti artificiali che orbitano attorno al nostro pianeta. E per fortuna, l’immagine non è stata rovinata dalle tracce multiple lasciate dai “branchi” degli Starlink, che in quel momento razzolavano fortunatamente in altre regioni del cielo… Inoltre l’immagine era semplicemeente uno scatto di prova, per sperimentare il funzionamento del modulo O-GPS1, che consente di effettuare una sorta di autoguida con la macchina fotografica installata su un semplice cavalletto fotografico, utilizzando il posizionamento GPS; l’oggetto astronomico inquadrato viene inseguito mediante traslazione del sensore sui due assi orizzontale e verticale nel piano immagine: in questo modo, pur mantenendo il corpo macchina immobile, si evita che le stelle risultino strisciate. La riproduzione dei colori per le stelle ed il gas che le circonda è abbastanza realistica; gli astri più deboli visibili hanno magnitudine visuale di circa 12.5.

Le caratteristiche tecniche dell’immagine sono:

  • Data e ora di ripresa: 5 febbraio 2022, ore 21:28 UTC+1
  • Località: Murazzano (Piemonte, Italia), altezza circa 620 metri s.l.m.
  • Strumentazione: reflex digitale Pentax KP, sensore CMOS 24 Mpixel equipaggiata con modulo GPS O-GPS1 per foto astronomiche, obbiettivo Pentax DA zoom 50-200 mm, diametro 52 mm.
  • Parametri dell’immagine: posa 30 secondi, sensibilità iso 3200, diaframma f/5.6, focale 200 mm.

Pleiadi 1896

La lastra originale da cui è stata ricavata l’immagine qui utilizzata, è stata ripresa da Edward Charles Pickering nella notte del 28 novembre 1896, presso la Harvard Boyden Station di Arequipa, Perù: la magnitudine visuale che ho potuto stimare sulla riproduzione è indicativamente 15, mentre sull’originale è oltre la 17.5, valutata su una debole stella immersa nella parte esterna della nebulosità che circonda Merope. In questo caso l’immagine non contiene informazioni sul colore ma solo sulla intensità luminose delle stelle e del gas, come vedremo nel confronto più avanti.

Lo strumento utilizzato era il rifrattore “24 inch Bruce Doublet“, con un diametro di 61 centimetri ed una struttura ottica a “doppio” doppietto, con un totale di 4 lenti in vetri crown e flint. Era dotato frontalmente di un prisma obiettivo, che poteva essere rimosso come nel caso della immagine qui considerata.

Nella breve analisi presentata in questo articolo, non ho utilizzato l’originale, nella cui regione centrale le stelle più luminose delle Pleiadi e la nebulosità che le circonda, sono mostrate in dettaglio e si stagliano molto ben definite sul fondo cielo. Dal registro dello stato di conservazione della lastra risulta che nel 2016 ha subito un allagamento accidentale; fortunatamente questa testimonianza astronomica del secolo scorso non è stata danneggiata ed è ritornata in buone condizioni dopo il restauro.

La resa cromatica sia dell’originale che della copia utilizzata da me, è comunque analoga.

Le caratteristiche tecniche dell’immagine sono:

  • Data e ora di ripresa: 28 novembre 1896, inizio alle ore 01:10 UTC-5
  • Località: Arequipa (Perù), altezza circa 2335 metri s.l.m.
  • Strumentazione: rifrattore Bruce Doublet, obbiettivo diametro 61 cm.
  • Parametri dell’immagine: posa 255 minuti, focale 3.43 metri.

Il confronto

Per valutare le proprietà delle due immagini, pur con i limiti evidenziati nei paragrafi precedenti della riproduzione sul libro della foto e la sua ulteriore scansione in elettronico, ho elaborato la mia immagine, cercando di renderle più simili possibili nelle dimensioni e nell’orientamento. Ho inoltre sovraimpresso ad entrambe le riprese i nomi delle tre coppie di stelle utilizzate per il confronto delle intensità luminose nei differenti colori; ho anche applicato una tonalità “seppia” all’immagine del 1896, per il semplice vezzo personale di “antichizzarla”. Il risultato di queste operazioni è visibile qui sotto.



Nella tabella seguente sono riportate le caratteristiche fisiche delle stelle utilizzate nel confronto, estratti dal catalogo online SIMBAD Astronomical Database – CDS (Strasbourg). Per identificare le stelle ho utilizzato la codifica del catalogo stellare Henry DraperAnche Henry Draper (1837 – 1882), come John Robert Kippax, era un medico di professione del 19° secolo che si dedicava alla ricerca astronomica, nell’ambito della fotografia degli oggetti celesti e della spettroscopia; il catalogo che porta il suo nome è dedicato alla sua memoria., che ritengo più compatta e comoda da utilizzare rispetto ad altri sistemi di catalogazione. I colori nella tabella indicano:

  • nella colonna “Stelle” i nomi o le sigle sono indicati mediante tre colori (rosso, giallo, verde), identificando le coppie di stelle scelte per il confronto aventi valori numerici simili delle magnitudini V; anche nelle immagini precedenti i nomi riportati utilizzano gli stessi colori
  • nella colonna “Tipo spettrale” il colore del testo è indicativamente simile a quello della stella; le stelle di classe A hanno nel visibile colori dall’azzurro al celeste chiari, mentre le K e M differenti tonalità di rosso.

Per chi volesse ulteriori informazioni sul tema dei tipi spettrali rimando all’articolo Le stelle…” di Paola Rebecchi.


StellaTipo spettraleMag BMag V
V* V650 TauA3Van7.937.79
HD 23654K09.0167.78
Sterope II - HD 23441A0Vn6.4026.421
HD 23712K58.216.49
HD 23664A28.558.30
HD 23553M10.158.23

Dando un’occhiata tabella precedente possiamo vedere che:

  • nella colonna “Mag V” le magnitudini delle stelle nella banda V differiscono, in ognuna delle tre coppie utilizzate, di qualche centesimo di magnitudine
  • nella colonna “Mag B” le magnitudini delle stelle nella banda B differiscono, in ognuna delle tre coppie utilizzate, mediamente di 1.5 magnitudini.

Ma allora come mai un sensore elettronico CMOS contemporaneo ed una lastra fotografica della fine del 19° secolo “vedono” differenti luminosità per stelle di classe spettrale A e per quelle delle classi M e K, se questi astri hanno una magnitudine V praticamente identica? Per semplicità, possiamo dire che le prime lastre fotografiche erano per così dire “daltoniche“, ossia non registravano correttamente i colori ed in particolare il rosso; più correttamente, le emulsioni fotografiche di cento anni fa non avevano una visione delle differenti lunghezze d’onda visibili analoga a quella del nostro occhio, che invece ci viene fornita dai sensori e dagli algoritmi di controllo di cui sono equipaggiati i dispositivi fotografici odierni.

La lastra del 1896 quindi “vede” meno nel rosso e di più nel blu, per cui una stella di colore rosso viene registrata come meno luminosa di una stella azzurra. Viceversa, il sensore elettronico odierno, “vede” in modo più bilanciato nel blu, nel verde e nel rosso, per cui restituisce luminosità simili (per le stelle aventi magnitudine in banda V comparabili) indipendentemente dal loro colore; inoltre, uno scatto digitale moderno è il prodotto di una complessa procedura di trattamento dell’immagine hardware/software eseguita dai dispositivi digitali, che gestiscono il segnale “grezzo” ottenuto dal sensore, seguita eventualmente da ulteriori post-elaborazioni fatte mediante computer.

Ecco quindi spiegato il perchè nell’immagine del 1896 le stelle rosse sono sistematicamente più deboli di quelle blu. Daltronde, considerato che In M 45 le stelle hanno tendenzialmente colore bianco-blu, l’immagine fotografica del secolo scorso riesce bene a restituire questi astri ed anche il debole gas diffuso tra di loro, visibile attorno alle “sette sorelle”Le componenti più luminose nell’ammasso delle Pleiadi, i cui nomi, dalla mitologia greca, sono: Alcione, Celeno, Elettra, Maia, Merope, Asterope e Taigete..

Per avere emulsioni fotografiche (lastre o pellicole) sensibili anche al rosso, dovrà passare circa mezzo secolo dal 1896: alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, la Kodak iniziò a produrre le emulsioni “pancromatiche” sensibili anche al rosso, il cui uso era orientato all’uso astronomico. A partire da quella data divenne quindi possibile effettuare sia la fotometria fotografica multibanda UBVR accoppiando adeguaati filtri e pellicole, sia imortalare le nebulose ad emissione come la Laguna, la Trifida o la Nord America, per citarne alcune delle più famose che brillano di una smisurata gamma di tonalità nel rosso.


La nebulosa Nord America
Immagine della nebulosa Nord America, ripresa dal Gorda. Credit: Francesco Fumagalli

Con questo “curioso” confronto tra “antico” e “moderno”, spero di essere riuscito anche a fornire un’idea del complesso lavoro dei primi astronomi che utilizzavano il mezzo fotografico, oltre un secolo fa; pensate alla difficoltà di riprendere immagini in una nottata di novembre ad oltre 2600 metri di altezza, con temperature inferiori a 0 gradi centigradi, controllando manualmente il telescopio per oltre 4 ore, ottenendo stelle non strisciate!

Ma con immagini come questa delle Pleiadi, quei ricercatori hanno gettato le basi delle successive osservazioni e ricerche basate sulla fotografia, che ci hanno permesso di rivelare e comprendere molti aspetti straordinari del nostro Universo.

Acknowledgements. I would like to extend my sincere thanks to Ms. Maria McEachern, Reference & Resource Sharing Librarian at the John G. Wolbach Library | Smithsonian Astrophysical Observatory. Without her kindness, helpfulness and professionalism this article would have been incomplete, as I could not have cited the technical information regarding the original Pleiades image taken in 1896.
I would also like to thank the Smithsonian Astrophysical Observatory and the Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian for preserving these astronomical records and the DASCH (Digital Access to a Sky Century @ Harvard), at which the plate is stored along with many others.