Autore: Francesca Moino Data: 6 Giugno 2025

La difficile gestione di traffico e detriti spaziali

L’urgente necessità di una regolamentazione internazionale per la gestione del traffico in orbita terrestre e lo smaltimento dei detriti spaziali.

Non c’è dubbio, siamo nel pieno della “corsa allo spazio”. L’unica differenza con il passato è che, a partecipare a questa corsa, non sono più solo i governi, notoriamente quelli di USA e URSS, che hanno caratterizzato i primi decenni del secondo dopoguerra, ma anche nuovi attori privati. Lo spazio rappresenta ora infatti la nuova frontiera della conquista commerciale e addirittura turistica.

Già negli anni ’60 del secolo scorso fu da subito evidente che per evitare di trasformare lo spazio in un nuovo campo di battaglia era necessario dotarsi di una regolamentazione internazionale che obbligasse gli Stati partecipi della conquista del cosmo ad agire entro specifici limiti.
Nel 1967 l’Outer Space TreatyTrattato sullo Spazio Extra-atmosferico. E’ parte della Declaration of Legal Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space dell’ONU., sottoscritto da USA, URSS e UK, dettava i principi fondamentali del diritto spaziale internazionale, vietava l’utilizzo di armiSi pensi alla corsa agli armamenti durante la Guerra Fredda. di distruzione di massa nello spazio, garantiva a tutti i Paesi l’accesso ad esso e sanciva l’esplorazioneAd esempio la corsa verso la Luna. a soli scopi pacifici dei corpi celesti, proibendone al contempo dichiarazioni di sovranità da parte di qualsivoglia nazione.

Ma all’epoca probabilmente il motore dietro alla conquista dello spazio, e alla sua successiva regolamentazione, era prevalentemente di natura geopolitica, quando i due colossi politici ed economici mondiali dell’epoca, USA e URSS, utilizzavano gli strati più alti della nostra atmosfera come palestra in cui fare esercizi di “flexing muscles”.
Oggi non possiamo certo dire di essere andati oltre, semmai anzi si sono aggiunti ulteriori motivi di preoccupazione e conseguente necessità di porre regole e limiti, dal momento in cui lo spazio è diventato uno dei settori economicamente più redditizi. Non solo non è possibile fare veramente distinzione tra una azienda privata e lo Stato in cui questa ha sede o si trova ad operare, Stato che, per altro, sarebbe responsabile di regolamentare in primis l’operato di tale azienda, ma dobbiamo considerare che, rispetto a cinquant’anni fa, gli attori pubblici e privati sulla scena spaziale sono aumentati considerevolmente.


NASA debris
Simulazione dei detriti orbitali intorno alla Terra che dimostra la popolazione di oggetti nella regione geosincrona. Credit: NASA

Anche volendo lasciare da parte ogni considerazione legata alla sfera politica, esiste comunque un’altra tipologia di minaccia, più immediatamente riconoscibile e tangibile: l’invasione delle orbite intorno alla Terra, sia quella bassaLEO, Low Earth Orbit, indica un’altezza compresa tra 160 e 2000 km, dove sono solitamente collocati i satelliti per le comunicazioni e l’osservazione del nostro pianeta; è l’orbita più congestionata., sia quella mediaMEO, Medium Earth Orbit, indica un’altezza compresa tra 8000 e 20000 km, dove sono solitamente collocati i satelliti per la navigazione., sia quella geostazionariaGEO Geostationary Earth Orbit, indica un’altezza di 36.000 km, dove sono solitamente collocati i satelliti per telecomunicazioni e meteorologia. da parte di migliaia di oggetti artificiali.

Attualmente i satelliti attivi in orbita attorno a noi, secondo una stima ESA datata marzo 2025, sono più di 11000. Ma non dobbiamo scordarci quelli già ormai fuori uso. E come dimenticare poi i resti dei razzi usati come lanciatori? Ognuno di questi oggetti ha in comune lo stesso inesorabile destino, cioè diventare nulla più che semplice spazzatura spaziale, per un totale di 10mila tonnellate di materiale artificiale nello spazio attorno alla Terra.

Ora, finché questi detriti rimangono a girare lassù in orbita si potrebbe pensare che in fondo non sia un gran problema. Ma purtroppo non è così semplice. Intanto ogni singolo frammentoPiù di 1 milione di frammenti di grandezza superiore a 1cm e 26000 più grandi di 10 cm, secondo lo Space Environment Report 2024 dell’ESA., per quanto piccolo, quando collide con un altro detrito, a causa dell’elevata velocità, ne provoca la sua rottura e frammentazione in pezzi più piccoli, i quali a loro volta rappresentano una potenziale minaccia per altri detriti che troveranno sul loro percorso orbitale, aumentando in maniera esponenziale il numero di frammenti, possibili collisioni e così via per effetto di una reazione a catenaQuesto fenomeno è noto come “Sindrome di Kessler”, dal nome del consulente NASA che lo propose nel 1978..


Modello dei detriti spaziaìì ottenuto con MASTER
Modello ottenuto mediante il software MASTER (Meteoroid and Space Debris Terrestrial Environment Reference) della distribuzione per i detriti orbitali, aventi dimensioni maggiori di 1 millimetro, originati dalle attività spaziali umane in orbita attorno alla Terra. Crediit: Esa

Un altro aspetto è che la presenza di cospicue quantità di detriti, soprattutto nell’orbita terreste bassa, già molto “popolata”, mette a repentaglio la sicurezza dei satelliti stessi, costretti a sempre più frequenti manovre per evitare collisioni, e delle future missioni spaziali.

Ancora più grave è che a volte capita che qualche “rottame” spaziale venga giù fino a noi, sulla superficie del nostro pianeta, senza essersi completamente polverizzato nell’atmosfera, come è capitato recentemente con la sonda sovietica Kosmos 482Sonda in titanio lanciata dall’Unione Sovietica nel 1972 per visitare Venere, che, a causa di un errore, non lasciò mai l’orbita terrestre. Il suo modulo di discesa, del peso di circa 495kg è precipitato nell’Oceano Indiano il 10 maggio 2025, dopo un rientro incontrollato.. L’ESA ha calcolato che in media un oggetto alla settimana rientra in atmosfera terrestre in maniera incontrollata. E se questo avviene attorno ad un pianeta che ha una densa atmosfera, immaginiamoci cosa potrebbe accadere un domani, quando anche l’orbita lunare sarà percorsa da satelliti.

E non dimentichiamoci infine di quanta noia questi satelliti artificiali danno a chi vorrebbe semplicemente godersi il cielo notturno. Di questo ne sanno sicuramente qualcosa gli appassionati di astrofotografia, oltre a chi si occupa di ricerca astronomica.


NASA
L’illustrazione della Terra circondata dai detriti spaziali. Crediti: Nasa

Pare quindi arrivato il momento di estendere la parola sostenibilità non solo alle attività presenti sul nostro pianeta, ma anche a quelle attorno ad esso.
Quello che serve adesso è quindi una politica internazionale che agisca in due direzioni. La prima è il coordinamento e la cooperazione tra Stati per l’utilizzo delle diverse orbite, alla stregua di un vero e proprio “codice della strada”. La seconda è la regolamentazione dei rifiuti spaziali, con cui le aziende che mettono in orbita satelliti e quant’altro si preoccupino anche di “lasciar pulito” una volta che tale oggetto non sarà più utilizzato.

Riguardo all’utilizzo delle orbite e alla regolamentazione del traffico satellitare all’interno di esse, negli USA esiste attualmente il sistema di monitoraggioSSA, Space Situational Awareness, gestito da uno degli 11 comandi strategici delle forze armate statunitensi, lo United States Strategic Command, USSTRATCOM. più tecnologicamente avanzato, che traccia gli oggetti spaziali, ne predice i movimenti e emana allerte di collisione, se ritenuto necessario.
Nel biennio 2023 e 2024 sono stati lanciati in orbita più oggetti di quanti non ne siano stati lanciati tutti insieme negli anni dall’inizio dell’esplorazione spaziale nel 1957. Questo implica che la regolamentazione dell’utilizzo delle orbite sia diventato un fattore cruciale.
Sempre negli Stati Uniti la NASA supporta il progetto VESTAVirtual Environment for Space Traffic Analysis. del Georgia Institute for Technology, un programma che mira a studiare il coordinamento del traffico spaziale, utilizzando dati reali provenienti dal sistema SSA, per creare scenari virtuali e cercare di stabilire una sorta di “codice stradale” del traffico orbitale. Che avrà il suo conseguente impatto, e di nuovo siamo in ambito politico ed economico, per le varie agenzie statali di altri Paesi e imprese private, figuriamoci se poi qualcuna di queste dovesse scegliere di non attenervisi, sebbene lo scopo dichiarato sia naturalmente quello di raggiungere accordi internazionali che puntino ad una governabilità dello spazio in ottica multilaterale.


Questa animazione mostra la distribuzione dei detriti spaziali attorno al nostro pianeta. Credit: ESA

Per quanto concerne invece il problema dei detriti spaziali, vi sono diverse aree di azione.
Intanto rimangono cruciali il riconoscimento e il monitoraggio costante delle loro orbite, in modo da permettere ad altri satelliti o alle stazioni spaziali le necessarie manovre per evitare impatti. Attualmente questo compito è prevalentemente svolto dalle forze armate statunitensi attraverso il sopracitato SSA, i cui dati potrebbero presto finire per essere utilizzati, almeno in parte, da una agenzia civileOSC, Office of Space Commerce, Ufficio per il Commercio Spaziale, che fa capo al governo federale statunitense. data la natura prevalentemente internazionale e commerciale delle attività.

Poi è ormai sempre più incalzante la necessità di una regolamentazione in materia, come ad esempio l’implementazione da parte dell’ESA dello “Zero Debris Approach” (Approccio Zero Detriti) attraverso cui l’agenzia spaziale si prefigge di limitare il più possibile, fino ad azzerare, la produzione di detriti spaziali in orbita terrestre e lunare da parte delle sue missioni entro il 2030. Questo significa che l’ESA e le agenzie nazionali o partner commerciali privati che collaborano con essa devono tenere a mente questi principi nel momento in cui progettano, costruiscono e mettono in opera le missioni spaziali. Per esempio, ogni oggetto lanciato in orbita dovrà avere abbastanza carburante per permettergli un rientro sicuro in atmosfera a fine missione, oppure la permanenza in orbita di un oggetto ormai desueto dovrà essere notevolmente ridottaDagli attuali 25 anni a meno di 5 anni secondo la proposta ESA., in modo da liberare spazio utile a quell’altitudine.
Per favorire l’implementazione di queste linee guida, nel 2023 l’ESA ha emesso la “Zero Debris Charter”, un documento che racchiude i principi guida necessari per realizzare questo obiettivo, con l’auspicio che sempre più attori della “space economy” lo sottoscrivano e vi si attengano.


ClearSpace
Raffigurazione artistica della sonda ClearSpace-1 nel momento in cui sta catturando VESPA. Credit: ESA

Altro passo innovativo è l’investimento di 86 milioni di euro da parte dell’ESA nella start-up svizzera ClearSpace, che si prefigge di recuperare i detriti spaziali agganciandoli con una propria sonda per accompagnarli verso un rientro controllato in atmosfera. Il primo tentativo di questa pioneristica attività di “pulizia spaziale” dovrebbe avvenire quest’anno, quando ClearSpace lancerà la missione ClearSpace-1 che aggancerà e riporterà in atmosfera per un rientro controllato lo stadio superiore di un VESPAVega Secondary Payload Adapter., lanciato con un razzo Vega nel 2013. Questo sistema, se dovesse funzionare, potrebbe essere una buona soluzione per smaltire detriti di grandi dimensioni, ma attualmente non risolverebbe il ben più spinoso problema di quelli di piccole dimensioni, cioè quei frammenti che, orbitando ad una velocità significativamente superiore10 km/s cioè 36,000 km/h secondo l’ESA. a quella di un proiettile, sono in grado di provocare parecchi danni ai satelliti operativi.

Rimane solo da capire se, a parte l’esempio dell’ESA, anche tutte le altre agenzie spaziali e gli attori privati nel campo della “space economy” a livello mondiale siano disposti a fare questo tipo di passi avanti per una maggiore sicurezza e sostenibilità dell’utilizzo orbitale. A scapito a volte di maggiori e più immediati profitti. E date le palesi reticenze, per non parlare di veri e propri freni, ad agire anche solo in ambito di salvaguardia ambientale sul nostro stesso pianeta, soprattutto da parte dei Paesi che hanno sia il capitale, sia il know-how per fare la differenza, allora le speranze che si guardi anche allo spazio in modo sostenibile cominciano ad affievolirsi, almeno nel breve periodo.


Video Clear Space esplicativo della loro missione. Credit: Clear Space

Gli esseri umani dovrebbero forse solo ricordarsi che in fondo le regole del gioco sono sempre le stesse. Da bambini ci è stato insegnato di non gettare per strada l’immondizia e di lasciare il bagno nelle stesse condizioni in cui lo troviamo… concettualmente dovremmo semplicemente fare la stessa cosa anche con lo spazio.