JWST e l’analisi di possibili biofirme nell’atmosfera dell’esopianeta K2-18b.
Probabilmente la domanda “siamo soli nell’universo?” è quella che più spesso capita di porsi quando lo sguardo si perde nel buio del cielo, spaziando da un puntino luminoso all’altro, giocando a disegnare i contorni delle costellazioni.
È una domanda complessa, che comporta implicazioni filosofiche ed etiche, e che riflette il pensiero degli esseri umani riguardo a sé stessi nel corso dei secoli. Si è passati dal pensarci al centro di tutto, a poi saperci abitanti di uno dei pianeti del Sistema Solare, creduto all’epoca l’universo intero. Da lì, l’orizzonte si è allargato successivamente alla Via Lattea, arrivando a comprendere che il nostro Sole è solo una stella tra tante, molte delle quali circondate da pianeti, fino a pensare, perché no, che su qualcuno di questi, o su un suo satellite naturale, ci possano essere tracce di qualche forma di vita, presente o passata, magari addirittura senziente, magari addirittura intelligente.

Proprio alla ricerca di vita su altri oggetti celesti, sia all’interno sia all’esterno del Sistema Solare, è l’obiettivo verso il quale vengono indirizzati molti sforzi della ricerca astronomica negli ultimi anni.
I candidati del nostro Sistema Solare sono prevalentemente Marte, EuropaUno dei satelliti naturali di Giove, che presenta una superficie ghiacciata, sotto la quale è presente un oceano liquido., Encelado e TitanoSatelliti naturali di Saturno che presentano ghiaccio d’acqua sulla superficie. e forse alcuni asteroidi dove è presente acqua.
Per ognuno di questi corpi celesti vi è una missione dedicata, alcune purtroppo ancora in stand-by, come ExoMarsMissione ESA, in collaborazione con l’agenzia spaziale russa, con l’obbiettivo di cercare tracce di vita passata su Marte., altre già operative, come Europa ClipperMissione robotica NASA lanciata nel 2024, con l’intento di studiare da vicino il satellite gioviano Europa., altre in divenire, come DragonflyMissione NASA che prevede il lancio di un drone verso la superficie della luna Titano nel 2028..

Ma l’occhio è puntato anche su candidati molto più lontani, sui pianeti extrasolari, ovvero quei pianeti che ruotano attorno ad altre stelle. Come si svolge questo tipo di ricerca?
Innanzitutto, bisogna considerare che si cerca la “vita” così come la conosciamo sulla Terra. Per questo motivo, il presupposto, affinché un esopianeta sia reputato interessante sotto questo punto di vista, è che vi sia la presenza di acqua. Inoltre, questo corpo celeste deve trovarsi nella cosiddetta “fascia di abitabilità” del sistema planetario a cui appartiene. Questo significa che l’orbita del corpo celeste in questione deve essere alla giusta distanza dalla stella ospite affinché l’acqua sulla sua superficie si mantenga allo stato liquido.
Riguardo alla metodologia di ricerca, in assenza attualmente della possibilità di recuperare campioni e riportarli indietro per analizzarli comodamente in laboratorio sul nostro pianeta, il trucchetto utilizzato dagli esperti è quello di analizzare la composizione chimica dell’atmosfera di questi esopianeti nel momento in cui transitano davanti alla loro stella, sempre che la loro orbita permetta una osservazione in questo senso da parte dei nostri telescopi, terrestri o spaziali che siano. Infatti, la radiazione elettromagnetica emessa dalla stella contiene una traccia in corrispondenza degli elementi chimici presenti nelle atmosfere extra-solari che la assorbono. In pratica, grazie all’analisi spettroscopica della luce che arriva sino ai nostri strumenti, è possibile comprendere quali elementi chimici compongano le atmosfere osservate.

Quello che si ricerca all’interno delle eso-atmosfere sono le cosiddette biofirmeEsempi di biofirme nell’atmosfera possono essere la presenza di gas come ossigeno, metano, anidride carbonica., ossia quelle sostanze chimiche che sono prodotte direttamente o indirettamente dalla attività metabolica di esseri viventi.
Una recente novità in questo ambito è stata l’osservazione dell’atmosfera dell’esopianeta K2-18b, effettuata con lo strumento MIRIMid-Infrared Instrument, che osserva le lunghezze d’onda dei medi infrarossi, tra 6 e 12 micron. del telescopio spaziale James Webb. Questa indagine è stata svolta nella parte dello spettro elettromagnetico corrispondente ai medi infrarossi, ed è stata sommata alle precedenti ricerche compiute nel range dei vicini infrarossi con NIRISSNear-Infrared Imager and Slitless Spectrograph. Strumento del JWST che analizza le immagini nelle lunghezze d’onda comprese tra 0.8 e 5 micron. e con NIRSpecNear-Infrared Spectrograph. Spettrografo del JWST in grado di analizzare lo spettro elettromagnetico di più oggetti celesti simultaneamente..
Dai risultati ottenuti è emersa la presenza di DMSDimetilsolfuro. Molecola che sul pianeta Terra viene prodotta dalle alghe marine. e DMDSDisolfuro di metile. Molecola che sul pianeta Terra viene prodotta da organismi viventi come batteri, funghi, piante e animali., due tipi di molecole che sul nostro pianeta vengono prodotti dal fitoplanctonInsieme di organismi presenti nel plancton che utilizzano l’energia della radiazione solare per sintetizzare sostanze organiche a partire da materia inorganica..

Ora questo non significa necessariamente che sia stata trovata vita su un altro pianeta, sebbene questa scoperta rappresenti al momento il risultato più incoraggiante in questo senso mai ottenuto finora.
C’è sempre infatti la possibilità che queste molecole siano il risultato di qualche processo chimico, indipendente dalla presenza di vita, microbica o in altra forma.
A far ben sperare gli addetti ai lavori della Cambridge University, responsabili di questa ricerca, è il fatto che le due indagini, tra loro indipendenti e svolte con due strumenti diversi, abbiano entrambe prodotto lo stesso tipo di risultato, cioè la rilevazione di queste biofirme. Resta però ancora da capire come mai la concentrazione di queste molecole nell’atmosfera di K2-18b sia enormemente superioreVolume di dieci parti per milione su K2-18b, mentre nell’atmosfera terrestre è meno di una parte per miliardo., a quella presente sul nostro pianeta.
Per questo, i ricercatori, sebbene ottimisti, sono determinati a rimanere con i piedi ben saldi a terra, in attesa di poter effettuare ulteriori osservazioni e di lavorare allo sviluppo di modelli teorici ed esperimenti pratici che possano eventualmente spiegare la formazione di DMS e DMDS in assenza di vita.
Non abbiamo ancora una risposta certa a quella famosa domanda, ma possiamo sicuramente dire di star compiendo passi in quella direzione.