Particolari nebulose ad emissione chiamate HH o Herbig-Haro
Oggi dal mio immenso calderone astronomico ho pescato delle immagini davvero incredibili, ma prima di mostrarvele, vi vorrei parlare di questi stani oggetti.
Come al solito il nome è davvero curioso… Herbig-Haro, non è un altro gruppo come… gli Slayer o gli Angra, anche se potrebbe sembrare; no, questa serie di oggetti furono osservati per la prima volta verso la fine dell’800 dall’astronomo statunitense Sherburne Wesley Burnham, che puntando un telescopio rifrattore da 91 cm di apertura verso la stella T Tauri, notò una piccola nebulosità associata all’astro. L’astronomo però non fece molto caso all’oggetto e lo catalogò come normale nebulosa a emissione, chiamata in suo onore nebulosa di Burnham o HH 255.
In seguito poi si scoprì che la T Tauri era una stella molto giovane ed estremamente variabile, identificata come prototipo di una classe di oggetti simili. La variabilità delle stelle T Tauri è dovuta al fatto che non hanno ancora raggiunto l’equilibrio idrostatico tra collasso gravitazionale, che tenderebbe a comprimerle ulteriormente, e pressione di radiazione prodotta dalle reazioni di fusione termonucleare nel nucleo stellare, che tenderebbe a farle espandere.
Ma fu circa cinquant’anni dopo che gli astronomi George Herbig dall’Osservatorio di Lick e il messicano Guillermo Haro da quello di Tonantzitla indipendentemente l’uno dall’altro, scoprirono che in certe regioni oscure della Nebulosa di Orione si producevano strane righe di emissione, che sembravano originarsi da oggetti nebulosi di aspetto semistellare. Infatti Herbig notò che tali spettri mostravano linee di emissione molto accentuate di IdrogenoHα., ZolfoS II. e OssigenoO II., provenienti da alcuni oggetti catalogati successivamente come HH 1, HH 2 e HH 3. Dal canto suo Haro scoprì quasi contemporaneamente molti altri oggetti della stessa tipologia, mostrando però che la loro emissione nell’infrarosso era molto debole, ed in qualche caso addirittura assenti. Poco dopo le loro scoperte, Herbig e Haro si incontrarono all’ottantaduesima conferenza dell’American Astronomical Society, tenutasi nel dicembre del 1949 a Tucson, in Arizona. Herbig inizialmente prestò una scarsa attenzione alla sua scoperta, poiché era più interessato allo studio delle stelle vicine; ma in seguito, venuto a conoscenza delle scoperte di Haro, decise di intraprendere studi più dettagliati su queste nebulose. Entrambi gli astronomi giunsero alla conclusione che si trattasse di un fenomeno caratteristico della formazione stellare. Ma fu l’astronomo sovietico Viktor Ambarcumjan, che diede il nome dei due astronomi Herbig e Haro a questa classe di oggetti, basandosi sulla loro presenza vicino a “stelle giovani”Con età di poche centinaia di migliaia di anni., ipotizzò che potessero avere relazioni con le stelle T Tauri, perché possedevano nebulosità simili, e queste erano talmente piccole da sembrare stelle. E fu a questo punto che gli astronomi compresero di trovarsi di fronte a particolari nebulose a emissione.
A circa 1.000 anni luce di distanza dalla Terra, nella costellazione di Perseo, l’oggetto nella precedente immagine chiamato Herbig Haro 211 è uno dei più giovani e più vicini flussi protostellari. Se si fa caso, si può vedere che il getto interno “ondeggia” con simmetria speculare su entrambi i lati della protostella centrale. Ciò suggerisce che potrebbe essere in realtà una stella binaria non risoltaCostituito da una stella di luminosità costante e da una stella variabile. e alla fine diventeranno due astri come il nostro Sole.
Gli HH sono regioni luminose che circondano le stelle neonate, formate quando venti stellari o getti di gas che fuoriescono da questi astri formano onde d’urto che si scontrano con gas e polveri vicine ad alta velocità, che formano nell’Universo ammassi e archi luminosi di gas interstellare sconvolti ed eccitati da getti espulsi dalle “protostelle”È una fase della formazione stellare, compresa tra il collasso della nube molecolare e la fase di stella pre-sequenza principale. neonate in via di formazione.
Le immagini all’infrarosso sono potenti per studiare le stelle neonate e i loro flussi, perché queste stelle sono invariabilmente ancora incorporate nel gas della nube molecolare in cui si sono formate. L’emissione infrarossa dei flussi della stella penetra il gas e la polvere oscuranti, rendendo un oggetto ideale per l’osservazione. Le molecole eccitate dalle condizioni di turbolenza, tra cui idrogeno molecolare, monossido di carbonio e monossido di silicio, emettono luce infrarossa che Webb può raccogliere per mappare la struttura dei flussi.
Allora cosa ne dite, siete d’accordo con me? Penso proprio di si, queste immagini sono davvero spettacolari! Alla prossima volta!!!